COOL SPOT

GENERE: Platform | PRODUTTORE: Virgin | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1 | ANNO: 1992
La radicale trasformazione subita dal mondo industriale e commerciale negli ultimi venticinque anni, magistralmente narrata ed analizzata da Naomi Klein in No Logo, è stata un processo capace di modificare a fondo il volto dell'intera civiltà occidentale. Le grandi multinazionali hanno smesso di concentrarsi sulla produzione diretta di beni, delocalizzando le attività manifatturiere in paesi nei quali il costo del lavoro, le sue tutele e le leggi ambientali sono imparagonabili rispetto a quelle delle nazioni più avanzate, e si sono concentrate sull'ideazione di qualcosa di molto più aleatorio: il marchio. Un logo da diffondere nel mondo come una religione, altamente riconoscibile, capace non solo di connotare il prodotto, ma di creare ed identificare un intero stile di vita.

Per raggiungere questo obiettivo il marchio deve essere comunicato. E ciò costringe le aziende ad un martellamento continuo su qualunque mezzo espressivo. La logica del marchio è, di conseguenza, penetrata in maniera indelebile nella nostra esistenza. Li vediamo ovunque ed in qualsiasi momento. Negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna persino scuole e ospedali sono stati sponsorizzati. L'ultima caratteristica che manca al logo per divenire totalmente, incondizionatamente ed irreversibilmente universale è l'interattività. E questa solamente uno strumento come il videogioco può garantirla.

In tal senso David Perry può ritenersi un precursore. Nel 1992, agli albori della globalizzazione (il NAFTA, trattato di libero scambio per il continente americano, viene firmato proprio nel dicembre di quell'anno) realizza Cool Spot, brillante gioco di piattaforme per tutti i sistemi principali che ha come protagonista un punto rosso. E non uno qualsiasi, ma quello che funge da marchio della nota bibita 7Up (di proprietà della Dr. Pepper Corporation). Cool Spot è un titolo rivoluzionario ed efficace in maniera quasi inquietante. Grazie all'abilità di Perry, infatti, un semplice, banale, cerchietto color porpora diventa uno dei personaggi meglio caratterizzati della storia dell'intrattenimento elettronico. Spot è assolutamente cool. Figo, per dirla all'italiana, almeno secondo i canoni dell'epoca. Si presenta con occhiali da sole e scarpe da ginnastica alla moda. Irrompe sulla scena facendo surf su una bottiglia di 7Up e si produce in tutta una serie di strabilianti e fluidissime animazioni. Se lasciato inattivo schiocca le dita al ritmo dell'Hip Hop o si mette a giocare col suo yo-yo. Si rende inoltre simpatico quando, prima di ogni livello, consulta una cartina sbagliando regolarmente strada. E' poi costantemente presente in ogni singolo istante di gioco, anche nella più insignificante delle schermate, graziato da una irresistibile capacità affabulatoria binaria, appositamente studiata per renderlo il più ammiccante ed affascinante possibile.

Tutto ciò rende Cool Spot il primo videogioco che trascende la semplice sponsorizzazione (strada già tentata altre volte) e diventa vera e propria estensione del prodotto che vuole pubblicizzare o, meglio, del suo marchio. Una volta catturato il giocatore/consumatore con il suo esplosivo carisma, Cool Spot gli regala la possibilità del controllo chiedendo in cambio l'opportunità dell'immedesimazione: non ci sono interruzioni che usano metodi vecchi e noiosi come gli slogan per trasmettere il messaggio promozionale, c'è solo il logo, protagonista assoluto e controparte virtuale dell'utente che, interagendovi, vi si immedesima in maniera quasi totale, accettandolo completamente nella propria vita reale. Il fatto che Cool Spot sia anche un grande gioco di piattaforme, un titolo meticolosamente curato, molto divertente e ben strutturato, non è affatto secondario: più è piacevole passarci del tempo più verrà visto e giocato e, conseguentemente, avrà successo tra i potenziali acquirenti.

Il videogioco potrebbe essere l'uovo di Colombo per le multinazionali. Eppure, fortunatamente, pochissime di esse sembrano essersi rese conto della sua straordinaria capacità veicolativa, persuasiva oltre ogni limite. Dopo Cool Spot, negli anni Novanta, in pochi hanno seguito la strada tracciata da Perry. Ci ha provato la Pepsi, prima inserendo l'emblematico Pepsiman nel gruppo di personaggi di Fighting Vipers (1996, SEGA) e poi dedicandogli un intero gioco (l'orribile titolo omonimo per PS-X del 1999). Nel nuovo millennio, invece, quasi nessuno ha tentato simili esperimenti, preferendo, in rarissimi casi, inserire nei giochi delle semplici riproduzioni a fini promozionali dei propri prodotti.

Ed è una vera fortuna che questa miopia dell'industria abbia bloccato gli investimenti in tale direzione. Il videogioco, infatti, cattura più di ogni altra cosa l'attenzione di un determinato quanto vastissimo gruppo di acquirenti. L'unica domanda è: per quanto tempo? Tra qualche anno, forse, la risposta. Perché la pervasività totalitaria della religione del marchio è ormai dominante e non sarà certo il divertimento interattivo a sfuggirgli. Figuriamoci poi i sitarelli amatoriali che provano a raccontarne la storia. Soprattutto quando questi, in redazione, hanno un frigorifero pieno di gustose e fresche bottiglione di Chinotto Neri pronte da stappare...
Andrea Corritore
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