STRIDER HIRYU

GENERE: Action | PRODUTTORE: Capcom | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1 | ANNO: 1989
Nell'estate del 1989, Hiryu volteggiava leggiadro e letale nei cieli di una Mosca futuristica ed io volteggiavo leggiadro e letale con lui. Quando affondava la sua lama affilata nelle carni di soldati alieni comunisti, era mia la faccia sulla quale arrivavano schizzi di sangue caldo e brandelli di vestiti. Quando Hiryu moriva, io morivo con lui. Poi resuscitavo e consumavo altri gettoni. Perché Hiryu non era un semplice agglomerato di pixel, era il modello per un'intera generazione. E Capcom lo sapeva bene.

Strider Hiryu fu un'opera fondamentale per l'evoluzione non solo contenutistica, ma anche stilistica del videogioco. Come un codice di Hammurabi binario, dettò le regole che ogni successivo prodotto doveva seguire per assurgere a mito di orde di ragazzini pronti a sborsare moneta sonante con lo scopo di assicurarsi qualche minuto di gloria, impersonando l'eroe che avevano sempre sognato di essere. A partire da ambientazione e trama, un miscuglio di stereotipi facilmente riconoscibili ma nel contempo abbastanza fantasiosi da catturare subito l'attenzione: una nazione immaginaria ma riconducibile alla realtà (lo stato di Eurasia, versione Capcomiana della Russia odierna), un governo totalitario oppressivo e violento, la cui iconografia rimandava in maniera esplicita al regime comunista dell'ex-URSS, ovviamente reinterpretata secondo una visione nipponico-cibernetico-futuristica. E naturalmente l'immancabile complotto alieno ordito dal malvagio e misterioso Master.

Poi c'era il protagonista. Il modello teorico era quello del personaggio iconico per eccellenza dell'epoca: il ninja solitario, tanto duro e implacabile col nemico quanto disponibile e compassionevole verso i più deboli. La realizzazione pratica andava oltre ogni possibile catalogazione quando Hiryu iniziava a muoversi ed il giocatore ad interagire con esso. L'agilità e le capacità del guerriero non avevano precedenti in un settore come quello dei titoli d'azione, ancorato alla legnosità del Simon Belmont di Akumajo Dracula o alla lentezza dell'Arthur di Dai Makaimura. Come un eroe vero e vivo, Hiryu saltava altissimo prodigandosi in spettacolari piroette e balzi mortali. Si aggrappava a sporgenze e pareti scalandole quando necessario. Si esibiva in una elegante ed utilissima scivolata e sfoderava con gelida precisione e stile la sua spada. Di conseguenza vedere l'eroe saltimbanco in azione o, meglio ancora, controllarlo direttamente, era un'esperienza che causava facilmente l'inumidimento delle mutande nei più piccolini ed il rigonfiamento dei pantaloni dei più grandicelli.

La strutturazione dei livelli esaltava le possibilità motorie del combattente violavestito, regalando una girandola di situazioni spettacolari senza soluzione di continuità. Le numerosissime insidie lungo il percorso e i frequenti guardiani secondari mettevano alla frusta l'incauto videogiocatore, che era costretto ad usare in maniera proficua tutte le abilità del protagonista per proseguire, migliorando le sue prestazioni partita dopo partita. E così, la confusione che il neofita vedeva su schermo senza che riuscisse a capire granchè, lentamente si trasformava in controllo totale e completo e di riflesso, in divertimento come mai se ne era assaporato. Tutto, in Strider Hiryu spingeva a scucire gettoni alla velocità della luce, anche a causa di una difficoltà implacabile dall'inizio alla fine.

Strider Hiryu, oggi, rimane un gioco importantissimo, stylish prima ancora che il termine venisse coniato, una gemma da cui Capcom (e solo lei avrebbe potuto) farà poi germogliare fiori dall'odore più (Viewtiful Joe) o meno (Devil May Cry) intenso e gradevole. E io, tanti, troppi anni dopo, sono ancora con lui, volteggiando leggiadro e letale, affondando lame affilate e morendo, pronto poi a ricominciare subito dopo, impaziente di reimmergermi in un universo straordinario e indimenticabile. Sicuro però, di non essere il solo.
Andrea Corritore
Strider Hiryu

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